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430 le confessioni d’un ottuagenario.

«Carlo, fratel mio.

La Grecia mi voleva e m’ebbe finalmente; credetti appartenerle un tempo pel sangue de’ miei genitori; ma poichè non era vero, la natura mi rilegò a lei per mezzo del marito e dei figliuoli. Ecco ch’io ho diviso il mio cuore fra le due patrie più grandi e sventurate che uomo mai possa sortire nascendo. Nulla ti dirò della mia salute che vacillò piucchemai dopo la partenza di Spiro, e che si rimise allora soltanto quando pensai che rafforzata mi avrebbe servito a raggiungerlo. Appena dunque ho potuto m’imbarcai sopra una nave Idriotta e veleggiammo verso le sacre onde dell’Egeo. Mi pareva essere la suora di carità, che dopo aver assistito alle ultime ore d’un malato passa ad un altro capezzale, dove la chiamano dolori più vivi sì ma forse al pari micidiali. Sai che io non sono una donna molto debole e dovresti ricordartelo per prova; ma ti confesserò che ho pianto molto durante il tragitto. A Corfù s’imbarcarono parecchi italiani fuggiti da Napoli e dal Piemonte che si proponevano di versar per la Grecia il sangue che non avean potuto spargere per la propria patria. Io piangeva, ti dico, come una buona Veneziana; fu soltanto al toccare il suolo della Laconia che mi sentii ruggir nel cuore lo spirito delle antiche Spartane. Qui le donne sono le compagne degli uomini, non le ministre dei loro piaceri. La moglie e la sorella di Tzavellas precipitavano dalle rupi di Suli sassi e macigni sulle cervici dei Musulmani, cantando inni di trionfo. Alla bandiera di Costanza Zacarias accorrono le donne di Sparta, armate d’aste e di spade. Maurogenia di Mirone corre i mari con un vascello, solleva l’Eubea, e promette la mano di sposa a chi vendicherà sugli Ottomani il supplizio di suo padre. La moglie di Canaris a chi le disse che aveva per marito un prode, rispose: — Se non fosse, l’avrei sposato? — Così, o Carlo, le nazioni risorgono.