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428 le confessioni d’un ottuagenario.

Furono, per tutto il resto di quel giorno e pel seguente continue inchieste, domande, commemorazioni di questa e di quella persona, delle cose più minute, dei fatti più fuggevoli e inconcludenti. Di Alfonso Frumier non sapevano nulla, di Agostino avevano detto a Venezia che era affamato di fettucce e di croci e ne aveva intorno un altarino: così pure gli abbondavano i figliuoli, ad uno dei quali assegnava pel futuro la carica di ministro, all’altro quella di generale, di patriarca, di papa. Sua Eccellenza Navagero stava al solito nè morto nè vivo; sempre colla Clara al capezzale, quand’ella non aveva da recitare le ore e le compiete: allora, morisse anche, non voleva saperne. Il vecchio Venchieredo era morto finalmente, ed avea lasciato a suo figlio una sostanza così imbrogliata, che non avea speranza di cavarsene con quella sua testa balzana e spensierata; bisbigliavano che Raimondo si potesse sposare colla primogenita di Alfonso Frumier, il quale peraltro stentava a largheggiar nella dote. Del resto le cose al solito; il paese indifferente, taluni svagati dai divertimenti, altri allettati dalle paghe; nessun commercio, nessuna vita. I processi politici avevano messo gran malumore nelle famiglie, senzachè la comune della gente se ne avvedesse; solamente questa seguitava a lamentarsi della coscrizione; ma son malanni tolti appoco appoco dall’abitudine, massime quando il farsi soldato vuol dire mangiare una buona minestra col lardo, e fumare degli ottimi sigari alle spese di chi si ciba di polenta, e non fuma altro che cogli occhi lagrimosi sotto la cappa del camino.

— E a Cordovado? — domandai io.

A Cordovado ci aveano più scarse novità che in ogni altro sito, se si eccettui la pazzia dello Spaccafumo che diceva esser assalito dagli spiriti, e li stornava sempre colla mano a destra e a sinistra. Questa preoccupazione lo menò poi a capitombolare nel Lemene, dove un bel mattino lo tro-