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capitolo ventesimo. 427

nostri viaggiatori, la Pisana mi si mostrava più fredda che pel consueto; ma di tratto in tratto, le saltava qualche strano capriccio di tenerezza, e dopo si ostinava a provarmi con mille sgarberie, che era stato un mero capriccio, quasi una burla.

— Povero Carlo! — mi diceva ella talvolta. — Cosa sarebbe stato di te, se la compassione non mi persuadeva di farti un po’ di assistenza! Anche fu fortuna che la seccaggine di quel mio vecchio marito mi invogliasse di partire da Venezia; così ti ho procacciato qualche utile e tu avrai presto il bene di rabbracciare i tuoi cari. —

Ella non m’aveva parlato mai con tale crudezza; e dava ben pochi indizi di generosità, col noverarmi quasi la lista dei beneficii ch’io doveva unicamente alla sua compassione. Ne patii acerbamente, ma mi persuasi vieppiù, che nessuna traccia d’amore le era rimasta nell’anima; e che l’eroismo stesso della sua pietà era un capriccio, una vera bizzarria.

Finalmente potei stringere al seno i miei figli; baciare quelle loro guance fresche e rotonde, rinfrescarmi l’anima nei puri sentimenti di quei cuori giovanili. La buona Aquilina, che tanto amorevole quanto animosa madre s’era dimostrata nell’educarli, ebbe la sua parte delle mie carezze, e corrisposi con effusione agli amichevoli abbracciamenti di Bruto. Oh ma le loro sembianze non poteva vederle!... Allora per la prima volta ebbi entro un movimento di stolida rabbia contro il destino, e mi pareva che il fuoco della volontà dovesse bastare a raccendermi le pupille, tanto era intenso ed ardente. Lucilio mise un po’ di balsamo sulla piaga, assicurandomi che dopo un breve tempo avrebbe tentato l’operazione; e così riserbandomi per allora i piaceri della vista, mi diedi subito a godere di tutti gli altri che m’erano concessi dalla mia condizione infelice.