Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/431


capitolo ventesimo. 423

e si scoperse il petto vicino alla gola — questa la toccai or è l’anno combattendo! Fu inutile; ma la ferita mi rimase.

— E guardate questa che m’ebbi a Rieti, — risposi io, rimboccandomi la manica, e mostrando il braccio.

Lucilio mi buttò le braccia al collo con una effusione, che non mi sarei mai aspettato da lui.

— Oh benedette queste anime, — diss’egli — che veggono il vero, e lo seguono, benchè non ve le spinga una forza irresistibile!! Benedetti gli uomini pei quali il sacrifizio non ha voluttà, eppure vi si offrono egualmente, vittime volontarie e generose! Sono i veri grandi.

— Non adulatemi, — soggiunsi; — io andai a Napoli, si può dire, per amor proprio, e avrei anzi un mezzo rimorso, di aver sacrificato al mio orgogliuzzo l’interesse della mia famiglia.

— No, ve lo giuro io, non avete sacrificato nulla. La vostra famiglia vi raggiungerà qui. Voi rivedrete la bella luce del giorno e le desiderate sembianze dei vostri cari. Gli è vero che il sole di Londra non è quello di Venezia; ma la melanconia delle sue tinte s’accorda perfettamente alle pupille lagrimose dell’esule.

— Mi date anche speranza che la Pisana sarà per allora perfettamente guarita?

— Perfettamente, — rispose con un fremito nella voce il dottore.

Io tremai tutto: che mi parve udire, che so io? una sentenza di morte; ma egli seguitò innanzi, parlandomi con tanta pacatezza della malattia della Pisana, e del corso che dovea tenere, e della cura più adattata, e dell’infallibile guarigione, che la memoria di quel funereo perfettamente mi uscì per allora del capo.

Il dottore si diede attorno assai per giovarci; d’allora in poi grazie a’ suoi spontanei soccorsi non mancammo più di nulla, ed io mi vergognava di vivere in quel modo