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capitolo decimoprimo. 35

deve sentirsi un cavallo generoso al suonar della tromba. Giulio all’incontro pareva malcontento della parte troppo modesta, da lui sostenuta nell’adunanza di quella sera; e sì che doveva essere avvezzo a tali combriccole; perchè tanto egli che il Foscolo erano stati imputati di immischiarsi in tali faccende, e la madre di quest’ultimo, dicevasi averlo consigliato a perire piuttosto che svelare alcuno de’ suoi compagni. Così tornavano allora di moda le madri spartane. Il fatto sta che la Pisana in quella sera non ebbe occhi che per me, ma io era troppo addentro nel pensiero del nuovo governo, del Maggior Consiglio della dimane e dei pronostici di mio padre, per fermarmi in quelle amorosità. La guardava sì, ma come un’attenta ascoltatrice delle mie declamazioni, e questo mio contegno non le garbava punto. Quanto a Giulio, al vederlo così uggioso appena lo sopportava, e le sue affaticate galanterie non ottenevano il premio della quarta parte di ciò che gli costavano. Bene è vero che la contessa ne lo rimunerava con un subisso d’interrogazioni sulle novelle della giornata, ma il letteratucolo non la intendeva a quel modo, e si arrischiava più volentieri alla taccia d’ingrato che al martirio della noja. L’accorta vecchia, mano a mano che il mal tempo cresceva, andava raccogliendo le vele, e ormai era ridotta a parole una mezza sanculotta. Di dentro poi Dio sa quanto odio e quanta bile covasse!

— Che cosa dice, signor Giulio? Verranno questi Francesi?... Si casseranno i crediti ipotecati sopra le rendite feudali?... E i patrizii che sieno sicuri d’una pensione o d’una carica? e San Marco che sia conservato sugli stendardi? —

Giulio sospirava, sbadigliava, digrignava, si storceva, ma l’inesorabile contessa voleva pur cavarne qualche risposta, e credo ch’egli con maggior buona grazia si sarebbe lasciato cavare un dente. Io intanto non poteva resistere al piacere di