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quel punto fui per impazzire. La Pisana era il mio buon angelo; io la trovava dappertutto dove il destino sembrava avermi abbandonato nei maggiori pericoli; vincitrice in mio favore dello stesso destino. Ella si precipitò di furia fra le mie braccia, ma si ritrasse nel momento che io le chiudeva per istringermela al cuore. Mi prese poi le mani e si accontentò di porgermi la guancia a baciare. In quel punto dimenticai tutto; l’anima non visse che di quel bacio.

— Carlo, — cominciò ella a dirmi allora con voce interrotta dalla commozione, — sono venuta a Napoli or sono sette mesi, con licenza, anzi dietro invito di vostra moglie. La signora Principessa aveva scritto in gran premura a Venezia se un tal Carlo Altoviti, che stava accusato di alto tradimento in Castel Sant’Elmo, fosse quello stesso da lei vent’anni prima conosciuto. Ne scrisse a me non conoscendo altri vostri parenti. Figuratevi come ci sentimmo a questa novella, io che da tre mesi aspettava indarno vostri scritti e pur troppo vi temeva involto o per volontà o per caso nella rivoluzione napoletana!... Avrei voluto partir subito, ma le convenienze mi trattennero. Mi apersi dunque con vostro cognato, esponendogli che col mezzo di una potente protettrice io poteva a Napoli tentar molto per voi. Egli avrebbe voluto accompagnarmi, ma sua moglie, vostra sorella era aggravata del suo male, e gli fu forza restare. Mi fornì dei denari pel viaggio, chè già sapete come noi fossimo sempre al verde, ma prima di partire io pretesi da lui un altro servigio; volli che vedesse vostra moglie, che le raccontasse il tutto e che da lei mi venisse il permesso di adoperarmi per voi. L’Aquilina, poveretta, fu disperata di una tanta sciagura; ma che farci, mio Dio!... Colla miseria intorno, con due figliuoli garzonetti, col fratello quasi impotente, ella voleva tuttavia abbandonar tutto, e venir a soffrire, e morire con voi. Vostro cognato la dissuase mostrandole che il viaggio di lei non vi recherebbe nes-