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404 le confessioni d’un ottuagenario.

Ebbe tempo di accorrere e di accomunarsi al maggior pericolo. Già i cavalli imperiali aveano cominciato l’assalto. I volontari armati di carabine resistevano male all’impeto della cavalleria; la campagna era spazzata, le strade correvano sangue, il terrore si diffondeva accresciuto dalla sorpresa, dal gran numero degli assalitori, dalla pochezza dei mezzi di difesa. Mancavano le artiglierie; i cavalleggieri non sommavano, credo, in tutto a quattrocento; gli altri erano sparpagliati in diverse posizioni. Dopo due ore di combattimento Rieti era perduto, e Pepe costretto a ritirarsi. Ma uscito appena e raccozzati i suoi, e afforzato dalle schiere che giungono fresche, s’avvede che a Rieti è il capo della guerra, e che sfuggitogli di mano, altra speranza non resta. Aduna un consiglio di guerra; si giudica impossibile riprender la piazza contro i cannoni già appostati in buon numero dagli Imperiali. Tuttavia il Generale insiste nell’ardita ma necessaria deliberazione. Egli grida che chi vuol seguirlo lo segua, ma che egli non abbandonerà il confine d’Abruzzo, prima di aver fatto sopra Rieti un ultimo sforzo. L’onor suo, il dovere glielo comandano. Al grido disperato del loro capitano accorrono animosi molti dei volontari: io, ed i giovani siciliani tra i primi.

Il pensiero di mia moglie, de’ miei figli non mi balenò che un istante alla mente; fu per persuadermi che il primo dovere dei padri è di lasciare una buona eredità di esempi forti ed animosi. Converrete meco che per un organista di Cordovado non c’era poi tanto male. La morte in quel momento mi parve sì bella e gloriosa, da meritare una vita assai più lunga della mia, e piena a tre tanti di dolori e di sventure per procurarsela. Nel lungo tempo ch’io ho attraversato mancarono, è vero, occasioni di viver bene; ma quelle di morir meglio non scarseggiarono; conforto anche questo di poter lasciare questo mondo senza rimpiangerlo.