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402 le confessioni d’un ottuagenario.

rebbe di essere sottoposta a Lione, come sbuffò per secoli Edimburgo di assoggettarsi a Londra: forse sbuffa tuttora, sebbene Londra sovrasti ad ogni città del Regno Unito, più che Roma a qualunque capitale della penisola nostra; ma per Roma stanno le tradizioni, le memorie, le glorie, la maestà che la fanno capo nonchè d’Italia, del mondo; e nessun luogo sarebbe sì ardito da vergognarsi di ubbidire a lei. Il fatto era che due valli della Sicilia pretendevano al disgiungimento da Napoli, e che un esercito condotto da Florestano Pepe era stato spedito colà a racchetarle: errore anche questo di distrarre le forze in pettegolezzi di preminenza, quando si trattava in un’altra parte dell’essere o del non essere. Se mentre Carascosa colle sue schiere stanziali guardava la strada di Capua, l’esercito di Florestano si fosse congiunto alle cerne disordinate del fratello Guglielmo per afforzarle, forse non saremmo precipitati nelle disfatte di Rieti e d’Antrodoco: macchie dell’esercito napoletano che non ci ebbe parte, e conseguenza necessaria d’uno scontro improvviso fra soldati regolari, cavalleria ordinata, e bande raccogliticcie di pastori e di briganti.

I Siciliani difendevano la patria loro dalle imputazioni di arroganza e di sprovvedutezza; secondo essi quell’inopportuna riscossa dell’orgoglio palermitano si doveva alle mene dei Calderari, di quella società segreta, che il ministro di Polizia Canosa avea creduto opporre all’influenza dei Carbonari. Ma le società segrete, protette dai governi, sono un mero fantasma; o non esisteranno mai, o si cangeranno in leghe spadroneggianti di zelatori, che riescono nocive al governo stesso. Infatti Canosa fu destituito pel troppo operare alla scoperta de’ suoi cagnotti. Il partito che comanda alla luce del giorno non sente il bisogno, e non ha la necessità di comandare nell’ombra del mistero e della congiura. Rispondemmo dunque, che se i