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capitolo ventesimo. 401

l’esecuzione di questo ardito disegno, quand’io gli fui introdotto dinanzi, e diedi le mie lettere commendatizie. Mi accarezzò molto bene, disse delle speranze che si avevano, e che alla peggio poi il ritorno del re doveva accomodar tutto senza intervento di forestieri. Allora dal canto mio gli esposi quanto m’era stato commesso; ed egli se ne compiacque molto, soggiungendo che a ciò si poteva pensare ove i nemici, non aprendo nessune trattative, fossero venuti alle mani ed egli li ributtasse, come sperava, oltre il Po. Mi disse anzi che c’era al campo un signore milanese incaricato di proposizioni consimili, e che me lo avrebbe fatto conoscere.

Ci trovammo infatti a tavola; ma mi dolse assai di ravvisare in esso uno dei più assidui frequentatori della conversazione di casa Migliana; una cotal scelta non mi garbava punto. Questo signore parlava poco, guardava e sbofonchiava assai, come appunto era costume di tutti in casa della contessa. Stette ancora un giorno; indi nel maggior pericolo scomparve, e non l’udimmo più nominare, senonchè fu veduto giorni appresso a Roma col dottorino Ormenta, al quale diceva egli di essersi raccomandato unicamente per ottenere il libero ritorno in Lombardia. Molti gli credettero; io no; infatti il suo nome non figurò molto degnamente nei processi degli anni seguenti; e benchè poco sapesse, di quel poco si valse per salvar sè, e lasciar gli altri nel pantano.

Eranvi anche al campo alcuni Siciliani, venuti per accordarsi circa alle cose del paese loro, che discordavano allora scandalosamente dalle napoletane: giovani ardenti, cortesi e squisitamente educati. Sicilia è la Toscana della Bassa Italia; per questo appunto non si marita bene a Napoli, rozzo, manesco, millantatore. Saranno sempre gelosie, ove non sarà uguaglianza; e checchè ne dicano del nostro municipalismo, anche Marsiglia in Francia sbuffe-