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capitolo decimonono. 397

trui fiducia per privati riguardi, benchè forse io vedessi più scuro di ogni altro nelle rosee lusinghe di quel tempo.

Del resto a Venezia vidi come potete credere la Pisana. In verità che ne rimasi maravigliato. Io mi guardava qualche volta nello specchio e sapeva come i quarantacinque anni mi si leggessero comodamente sulla fisonomia; ella all’incontro mi parve essere più giovine di quando l’avea lasciata; una maggiore rotondità di forme aggiungeva dolcezza alla sua idea di bontà, ma erano sempre i suoi occhi languidi, infuocati, voluttuosi, il suo bel volto fresco ed ovale, il suo collo morbido e bianco, il suo andare saltellante e leggiero. Aveva un bel che fare ad accordarsi colla monacale rigidezza della Clara, un bel dirmi che facevano vita santa insieme, io la vedeva sempre la mia Pisana d’una volta, e basta!... ma se non avessi avuto moglie!!... Tanto più mi maravigliai di questa sua ottima salute perchè bisognava loro, si può dire, guadagnarsi il vitto colle proprie mani; non bastando a pagare i medici e le medicine i pochi quattrini che stillavano a fatica dalle mani aggranchite del Navagero. Costui nella breve visita che gli feci si lodò molto della moglie, ma non mi vide, credo, con molto piacere, per la gran paura che gliela portassi via.

— Lo creda, signor Carlo — mi disse — che se mi scappasse via la mia infermiera io ne morrei il giorno dopo!

— Eh vecchio, lo sai pure che si vuol maggior bene ai malati che agli amanti noi altre donne! — gli rispose la Pisana.

Il malato strinse la mano a lei ed a me; e li lasciai promettendo, che presto nel ripassar da Venezia ci saremmo riveduti. Ma la Pisana mi si dimostrò anche nei commiati assai fredda e contegnosa, come si conveniva ad una santa.

La sera prima di partire, vidi in Piazza il colonnello