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390 le confessioni d’un ottuagenario.

Brasile, dove si era rifugiato e aveva trovato un buon posto. Non si dimenticava di offrirmi la sua protezione presso l’imperatore don Pedro, e mi diceva di aver trovato a Rio Janeiro parecchie contesse Migliane che mi potrebbero fare ben altro che maggiordomo. Probabilmente egli si dimenticava che ero organista ammogliato e con figli; pure mi aveva veduto me e la mia famigliuola, nel passare col principe Eugenio quando marciavano nel milleottocentonove verso l’Ungheria. Ma in onta ai suoi quarant’anni, il bel generale si conservava alquanto libertino e smemorato.

Gli smorti anni seguenti non furono che un melanconico cimitero. Il primo a traboccare fu il cappellano di Fratta, indi toccò allo Spaccafumo; poi Marchetto il cavallante, sagrestano e sonatore di contrabbasso, che morì colpito dal fulmine mentre scampanava durante un temporale. Gli abitanti della parrocchia lo venerano anche adesso come un martire. Durante l’anno della carestia e nel susseguente, la morte fece man bassa sulla povera gente; fu un sonare a morto continuo, e così se n’andò via non per colpa della carestia anche la signora Veneranda, lasciando il capitano vedovo per la seconda volta,ma con settecento lire di usufrutto, il che lo liberò dal pensiero di torsi una terza moglie. Ed anche noi in quell’anno ebbimo a stringerci non poco; perchè non si trovavano più nè famiglie che pagassero il ripetitore ai loro ragazzi nè pievani che racconciassero organi. Anzi le spese fatte in quell’anno furono il principio del nostro sbilancio che poi s’aggravò sempre e mi condusse ai nuovi rivolgimenti che udrete in appresso.

Non mi ricordo precisamente quando, ma certo in quel torno il conte Rinaldo fece una gita nel Friuli; veniva per denari e siccome non ne trovò, vendette ad un imprenditore i materiali della parte più diroccata del castello. Io assistetti alla demolizione, e mi parve il funerale d’un