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capitolo decimonono. 389

soffrire io, ella s’affrettasse a porgermi il conforto della sua parola. Mi diceva dei grandi schiamazzi che aveano fatto i Venchieredo, l’Ormenta e il padre Pendola coi suoi proseliti; delle belle cariche date ai suoi cugini Cisterna, massime ad Augusto ch’era diventato di botto, credo, segretario di governo; e d’Agostino Frumier che volendo ritirarsi dagli affari ed essendo ricchissimo, non avea sdegnato di domandare il quarto o il quinto di pensione che gli competeva.

Molte, come vedete, furono le porcherie; e non poteva essere altrimenti perchè l’astinenza era la virtù dei migliori, nè si giungeva a fare di meglio. Peraltro il vecchio Venchieredo, osteggiato pel soverchio zelo, avea perduto assai della sua influenza ed era scaduto dai primissimi gradi fino a quello di Direttore della Polizia. Egli ne sbuffava; ma non c’era rimedio. Servir troppo è servir male: non era stato furbo abbastanza. — Il Partistagno invece rimise il piede in Venezia colonnello degli ulani; aveva sposato una baronessa morava, diceva perchè somigliantissima ad una sua cavalla prediletta. Egli serbava ancora il suo astio contro la famiglia di Fratta; e saputo che la Clara uscita di convento abitava il Palazzo Navagero, si pavoneggiava sovente in grande assisa sotto le finestre di quello, sperando darle nell’occhio e persuaderla a dire: Gran peccato quello di non averlo voluto ad ogni costo! — Ma la Clara, diventata miope a forza di aguzzar gli occhi nell’Uffizio della Madonna, non ci vedeva più fin nella calle e non distingueva uno di que’ pezzenti che fermano le gondole dal magnifico e spettacoloso colonnel Partistagno.

Fuvvi chi disse che anche Alessandro Giorgi fosse passato dall’esercito italiano all’austriaco, serbandosi il grado di generale guadagnato alla Moskova, ma io non ci credeva. Infatti alcuni mesi dopo mi giunsero notizie dal