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388 le confessioni d’un ottuagenario.

universale, un risollevarsi, un combattersi di speranze diverse, mostruose, tutte vane. A Milano si trucida un ministro, si abbattono le insegne dell’antico potere, si gavazza nella presente licenza non pensando al futuro. E il futuro fu come lo volevano gli altri; in onta alle rispettose e sensate domande della Reggenza provvisoria, in onta alle belle parole degli ambasciatori esteri. Il popolo non aveva vissuto; non viveva.

Se io fossi costernato di questi avvenimenti che mi scotevano dal mio torpore di padre di famiglia, e avveravano quelle paure che da lunga pezza aveva concepito, non è d’uopo il dirlo. Dal racconto di questa vita dovete già avermi conosciuto abbastanza. Sospirai per me, piansi di disperazione per la patria, indi guardando alle sembianze tenerelle dei figliuoli mi consolai, e rividi un barlume di speranza. Eravamo nati si può dire diciott’anni prima; ci voleva la scuola delle sventure per educarci, e la vita dei popoli non si misura da quella degli individui; se noi figliuoli s’aveva scontato la viltà dei padri, i figliuoli nostri forse avrebbero raccolto la messe fecondata dal nostro sangue e dalle lagrime. Padri e figliuoli sono un’anima sola, sono la nazione che non perisce mai. Così mi affidava alla rigenerazione morale, non al Vicerè Beaharnais, nè allo Czar Alessandro, nè a Lord Bentenk, nè al general Bellegarde.

A questo modo passano rapidi gli anni come i mesi della giovinezza; ma non crediate che in effetto fossero tanto veloci come sembra a raccontarli. Più il tempo è lungo a narrarlo, e più forse fugge rapidamente in realtà. A Cordovado i giorni erano tranquilli, sereni, dolci anche se volete, ma la soverchia brevità non era il loro difetto. Le lettere della Pisana assai rare da principio, diventarono mano a mano più frequenti all’infuriare delle tempeste politiche; pareva che, immaginandosi quanto ne doveva