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capitolo decimonono. 377

tutte le mie viscere sollevarsi contro di essa, e il mio peggior nemico non mi sarebbe tanto abbominevole a dovermelo stringer fra le braccia.

— Abbominevole l’Aquilina!... Scusa, Carlo, ma se ripeti simili infamie, io fuggo da te, io non vorrò più vederti!... Gli angeli comandano l’amore: tu non sei tanto perverso da abborrire quello che ci scende dal cielo, come la più bella incarnazione d’un pensiero divino. Guarda, guarda, apri gli occhi, Carlo!... guarda l’assassinio che commetti. Fosti cieco finora e non t’accorgesti nè del suo martirio nè de’ miei rimorsi. Fui tua complice finora, ma giuro di non volerlo esser più; no, io non assassinerò colle mie mani una creatura innocente, che mi ama come una figliuola, benchè... Oh ma sai, Carlo, che il suo eroismo è di quelli che oltrepassano la stessa immaginazione!... Mai un movimento di rabbia, mai uno sguardo d’invidia: una rassegnazione stanca, un amore invece che cava le lagrime!... No, no ti ripeto, io non pagherò coll’assassinio l’ospitalità che avemmo in questa casa; e tu pure mi seconderai nella mia opera di carità!... Carlo, Carlo, eri generoso una volta!... Una volta mi amavi, e se io t’avessi incitato ad un’impresa coraggiosa e sublime, non avresti aspettato tante parole! —

Che volete? Io ammutolii dapprincipio, indi piansi, supplicai, mi strappai i capelli. Inutile! Rimase incrollabile, dovessimo morirne ambidue; mi ripeteva di guardare, di guardare, e che se non mi fossi convinto di quanto ella affermava, e se non avessi accondisceso a quanto mi proponeva, sarei stato un essere spregevole, indegno al pari d’amore che incapace d’ogn’altro sentimento. D’allora in poi mi negò ogni sguardo, ogni sorriso; mi proibì l’accesso alla sua stanza; fu tutta per l’Aquilina, e nulla per me.

Infatti, per quanto volessi illudermi, mi fu forza rico-