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capitolo decimonono. 375

pace e la contentezza della famiglia. Ti rendo la tua libertà e voglio farti felice.

— Che parole, che stranezze son queste? — io sclamai.

— Sono parole che mi vengono dal cuore, e le medito da un pezzo. Lo dico e lo ripeto; tu non puoi volermi bene. Seguiti ad amarmi o per abitudine o per generosità; ma io non posso sacrificarti più a lungo, e devo per ricompensa metterti sulla vera strada della felicità.

— La strada della felicità, Pisana? — Ma noi l’abbiamo battuta lunga pezza insieme quella strada fiorita di rose senza spine! Basterà unire ancora braccio a braccio, perchè le rose ci germoglino sotto i piedi, e la contentezza ci sorrida di bel nuovo in qualunque parte di mondo!

— Ecco che tu non mi capisci, o anzi non capisci te stesso. Questo è il mio delirio. — Carlo, tu non sei più un giovinotto sventato e senza esperienza; e non puoi accontentarti d’una felicità che ti può mancare dall’oggi al dimani. Tu devi prender moglie!

— Dio lo volesse, anima mia! — No, il cielo mi perdoni questo sconsiderato movimento di desiderii, ma quando tuo marito avesse lasciato il mondo delle infermità per quello della salute eterna, il primo mio voto sarebbe di unire la tua sorte alla mia, colla santità religiosa del giuramento.

— Carlo, non perderti ora in cotali sogni. — Nè mio marito vuol morire per ora, nè tu devi consumare inutilmente gli anni più belli della virilità. Io ti sarei una moglie assai manchevole; vedi che non son fatta per la fortuna di aver prole!... e così cosa rimane una moglie?... No, no, Carlo, non illuderti; per esser felice devi appigliarti al matrimonio....

— Basta, Pisana!... Vuoi dirmi che non mi ami più?

— Voglio dirti che ti amo più di me stessa; e per questo m’ascolterai e farai quello che ti consiglio....