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crescevano sempre per le crociere inglesi. Ma egli scrollava la testa, senza risponder nulla, ed io non capiva cosa volesse dirmi con questo atto misterioso.

Il fatto sta che mi toccò ripartir solo pel Friuli, e i divertimenti, e le gite, e i bei giorni di pace, di moto, di campagna, idoleggiati insieme coll’Aglaura e i suoi fanciulletti, rimasero una delle tante speranze che mi affretterò di avverare nell’altro mondo.

Trovai a Cordovado cresciuta più che mai l’amicizia, l’intrinsichezza, e direi più se vi fosse una parola più espressiva, fra la Pisana e l’Aquilina. Omai l’amore della prima non giungeva a me che pel canale di questa. A questa toccava dire: — Guarda il signor Carlo!... Il signor Carlo ti domanda!... Il signor Carlo ha bisogno di questo e di quello! — Allora solamente la Pisana si prendeva cura di me; altrimenti gli era come se io non ci fossi; un’eclisse completa. L’Aquilina mi stava dinanzi, e l’anima della Pisana non vedeva che lei. Fino in certi momenti, nei quali per solito il pensiero non ispazia molto lontano, io sorprendeva la mente della Pisana occupata dell’Aquilina. Se fossimo stati ai tempi di Saffo avrei creduto a qualche mostruoso stregamento. Che so io?... Non poteva raccapezzarci nulla: l’Aquilina mi diventava alle volte perfino odiosa, e il minor male ch’io dicessi in cuor mio della Pisana, si era di chiamarla pazza.

Eccomi arrivato ad un punto della mia vita, che mi riuscirà molto difficile dichiarare agli altri, per non averlo potuto mai chiarir bene bene nemmeno a me: voglio dire al mio matrimonio. Un giorno la Pisana mi chiamò di sopra nella nostra stanza, e senza tanti preamboli mi disse:

— Carlo, io m’accorgo di esserti venuta a noja; tu non mi puoi voler più l’un per cento del bene che mi volevi. Tu hai bisogno d’un affetto sicuro, che ti ridoni la