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362 le confessioni d’un ottuagenario.

— Eh guà! — disse la Pisana — son giovine e robusta; posso lavorare, e poi io starò con te, e il mantenimento me lo conterai per salario. —

Un cotale accomodamento quadrava col modo di pensare della Pisana; e non isconveniva punto a me: solamente mi sarebbe abbisognata qualche professione per accrescere di qualche cosa le mie meschinissime entrate, finchè la sospirata morte del Navagero porgesse comodità di pensare ad uno stabilimento definitivo. Per allora misi da banda questa idea; l’importante era di partir subito, perchè la mia salute terminasse di raffermarsi. Io aveva in borsa un centinaio di ducati, la Pisana volle a tutti i costi consegnarmene altri duecento ch’ella avea ricavato da certe gioie, e con questa gran somma ci disposimo allegramente alla partenza.

Prima di lasciar Venezia ebbi anche la fortuna di rivedere per l’ultima volta il vecchio Apostulos reduce allora dalla Grecia; egli era involto in quelle macchinazioni d’allora per la liberazione della sua patria, mediante il patrocinio dei così detti Fanarioti o Greci di Costantinopoli; e faceva un gran correre qua e là col pretesto del commercio. Spiro che propendeva al partito più giovane, che poi soperchiò tutti gli altri e fomentò l’ultima guerra dell’indipendenza, ubbidiva di malincuore a suo padre in quelle congiure senza grandezza, dove pescava a suo profitto l’avara ambizione di qualche principe semi-turco: perciò si stavano fra loro con qualche freddezza. Il vecchio Apostulos mi diede buone notizie del mio Gran Visir: egli era stato strangolato, secondo il comodissimo sistema usato allora dalla Porta, invece di quell’altro europeo a mille doppi più dispendioso delle giubbilazioni. Ma il suo successore riconosceva la validità de’ miei titoli; soltanto, siccome il credito ammontava a sette milioni di piastre, e il tesoro di Sua Altezza non era a quel tempo molto ben fornito,