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L’omiciattolo accennò di sì con gran lavorio di gesti e di braccia. Lucilio si rivolse allora di bel nuovo al Savio di settimana, e gli porse quello scritto che aveva scorso poco prima.
— Ecco, signor Procuratore, — egli soggiunse — qui stanno i destini della patria: guardi ella di capacitarne l’animo del Serenissimo Doge e degli altri nobili colleghi, altrimenti... Dio protegga Venezia! io avrò fatto per salvarla quanto umanamente poteva. —
Rispose colle lagrime agli occhi il Procuratore:
— Io sono veramente grato a tanta deferenza di loro illustri signori (gli incorruttibili cittadini rabbrividirono a questi titoli scomunicati) il Serenissimo Doge ed i colleghi procuratori, come cariche perpetue della Repubblica, sono pronti a sacrificarsi per la sua salute (sacrificarsi voleva dire cavarsela) tanto più che la fedeltà degli Schiavoni rimasti comincia a tentennare, e non si maraviglierebbe per nulla di vederli unirsi ai nostri nemici... (Il Procuratore s’accorse d’aver detto uno sproposito, e tossì e tossì che ne divenne scarlatto come la sua tonaca) dico di vederli unirsi ai nostri amici, che... che... che... vogliono salvarci... ad ogni costo... Dunque io mi riprometto che queste condizioni (e mostrava il foglio come se stringesse fra le dita una vipera) saranno accettate con tutto il cuore dalla Serenissima Signoria, che il Maggior Consiglio ratificherà i nostri salutari intendimenti, e che presto formeremo una sola famiglia di cittadini uguali e felici. —
La voce moriva in gola al Procuratore come un singhiozzo; ma le sue ultime parole furono coperte da una salva di applausi. Egli ne arrossì, il poveruomo, certo di vergogna, e poi s’affrettò a chiedere che taluno di quella egregia adunanza volesse accompagnarsi con lui per recare quel foglio a Sua Serenità. Fu scelto a voti unanimi il Zorzi: un droghiere da appajarsi ad un procuratore, per