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capitolo decimonono. 361

chino di più. Andai dunque da un notaio, fu stesa e firmata la scritta di cessione. Ma nel punto di consegnarla a mia madre, non ti figuri mai più il favore ch’io le chiesi in contraccambio.

— Cosa mai? Le chiedesti il diritto eventuale all’eredità Navagero, o la cessione de’ suoi crediti verso la sostanza di Fratta?

— Nulla di tutto questo, Carlo. Da un pezzo era pizzicata da una indiscreta curiosità messami in capo, te ne ricordi, da quella pettegola della Faustina. Domandai dunque a mia madre che proprio sinceramente colla mano sul cuore mi confessasse se nei miei natali c’entrase per nulla il monsignore di Sant’Andrea!...

— Eh va’ là, pazzerella!... e cosa ti rispose la contessa?

— Mi rispose quello che tu. Mi diede della sguaiata, della pazzerella; e non volle dir nulla. Ah, Carlo! de’ miei ottomila ducati non ci ho proprio ritratto un bruscolo, nemmeno tanto da cavarmi una curiosità! —

Questo incidente può darvi un’idea non solamente dell’indole e dell’educazione avuta dalla Pisana, ma anche fino ad un certo punto dei costumi veneziani del secolo passato. Nel punto stesso che una figliuola con sublime sacrificio, si toglieva il pane di bocca, si spogliava dell’ultimo suo avere per accontentare i vizietti della madre, chiedeva in compenso di tanto benefizio una cinica confessione, e un gusterello di curiosità altrettanto inutile che scandaloso. Non aggiungo di più. Ma basta un finestrello aperto per lumeggiare un quadro.

— E a te dunque, — soggiunsi io — non restano ora che due grame lirette al giorno concesseti dalla misera munificenza del nobiluomo Navagero, sicchè una voltata d’umore di questo vecchio pazzo può metterti addirittura all’ospizio dei poveri!!...