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capitolo decimonono. 359

e la tenerezza d’un amore infinito mi compensarono dello spensierato abbandono d’un giorno.

— Carlo — mi disse un giorno la Pisana poich’io fui ristabilito tanto da poter uscire; — l’aria di Venezia non ti si affà molto, hai bisogno di campagna. Vuoi che facciamo una visita allo zio monsignore di Fratta? —

Non so come avrei potuto rispondere ad un invito, che sì bene interpretava i più ardenti voti del mio cuore. Rivedere colla Pisana i luoghi della nostra prima felicità, sarebbe stato per me un vero paradiso. Mi avanzava qualche piccola somma di danaro accumulata dalle pigioni della mia casa negli ultimi quattr’anni; il ritiro in campagna avrebbe aiutato l’economia; tutto concorreva a rendere questo disegno oltrechè bello, utile e salutare. D’altra parte io sapeva che Raimondo Venchieredo stava ancora in Venezia, sapeva omai delle arti basse e maligne da lui messe in opera per accertar la Pisana de’ miei amori colla contessa Migliana, e per giovarsi a’ suoi intenti d’un momento di dispetto. Avea perdonato alla Pisana ma non a lui; nè era sicuro da un impeto di furore ove mi fosse intervenuto d’incontrarlo. Per due giorni ancora la Pisana non mi parlò di partire, ma la vedeva affaccendata in altri pensieri, e mi pareva che si disponesse ad una lunga assenza. Finalmente venne a casa mia col suo baule e mi disse:

— Cugino, eccomi pronta. Mio marito non è guarito; ma la sua malattia ha ripreso un andamento regolare; i medici dicono che così può durare ancora molti anni. Mia sorella che domani esce di convento....

— Come? — io sclamai. — La Clara si sveste di monaca?

— Non lo sapete? Il suo convento fu soppresso; le hanno dato una pensione, e uscirà appunto domani. Ben inteso ch’ella non ha la benchè minima idea di rompere i suoi voti, e che digiunerà egualmente le sue tre quare-