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capitolo decimonono. 355

tano la mia ora avvicinarsi lentamente minuto per minuto, battito per battito di polso. Il mio sorriso appariva rassegnato, come di colui che non ha più speranze se non eterne, e a quelle affida colla sicurezza dell’innocenza l’anima sua. Perdonate, o stizzosi moralisti: vi sembrerà ch’io fossi inverso me assai largo di maniche, come si dice. Ma pur troppo io m’era composto di mio capo una regola assai diversa dalla vostra: pur troppo, secondo voi, puzzava d’eresia; scusate, ma tutto quello che non era stato male pegli altri, non lo addebitava come male a me stesso; e se male avea commesso, ne era pentito a segno che m’abbandonava senza paura alla giustizia che non muore mai, e che giudicherà, non delle vostre parole ma dei fatti. Voi avreste circondato il mio letto di catene sonanti, di spettri e di demonii; vi assicuro ch’io non ci vidi altro che fantasmi benigni e velati d’una nebbia azzurra di celeste melanconia, angeli misteriosi che mestamente mi sorridevano, orizzonti profondi che s’aprivano allo spirito, e nei quali, senza perdersi, lo spirito si effondeva, come la nuvola che si dirada a poco a poco, ed empie leggiera e lucente tutti gli spazii interminati dell’etere.

Io non avea veduto mai fino allora così vicina la morte; dirò meglio che non aveva avuto agio di contemplarla con tanta pacatezza. Non la trovai nè schifosa, nè angosciosa, nè spaventevole. La rivedo adesso dopo tanti anni più vicina, più certa. È ancora lo stesso volto ombrato da una nube di melanconia e di speranza; una larva arcana ma pietosa, una madre coraggiosa e inesorabile, che mormora al nostro orecchio le fatali parole dell’ultima consolazione. Sarà aspettazione, sarà espiazione o riposo; ma non saranno più le confuse e vane battaglie della vita. Onnipotente o cieco poserai nel grembo dell’eterna verità; se reo temi: se innocente, spera e t’addormenta. Qual mai fu il sonno che non fu consolato da visioni?... La vita si