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354 le confessioni d’un ottuagenario.

solo, vedovo, sconsolato ai primi passi, nella selva selvaggia della vera vita militante e dolorosa. Ohimè, Pisana! quante lagrime sparsi per te! Quante lagrime di cui avrei vergognato come di una debolezza femminile allora; eppur adesso me ne glorio, come d’una costanza che diede alla mia vita qualche impronta di grandezza e di virtù!... Tu fosti come l’onda, che va e viene sul piede arenoso dello scoglio. Saldo come la rupe io t’attesi sempre; non mi sdegnai degli oltraggi, accolsi modestamente le carezze ed i baci. Il cielo a te avea dato la mutabilità della luna; a me la costanza del sole; ma gira e gira ogni luce s’incontra, si ripete, s’idoleggia, si confonde. E il sole e la luna nell’ultima quiete degli elementi s’adageranno eternamente, rilucenti e concordi. Voli pindarici! Voli pindarici! Ma per nulla non si diedero l’ali alle rondini, il guizzo al baleno, ed alla mente umana la sublime istantaneità del pensiero.

Sì, piansi molto allora e molto soffersi, ma aveva racquistato la pace della mia coscienza, e la purezza della mia fede. Piangeva e soffriva per gli altri; in me non sentiva nè peccato nè colpa.

Ecco a mio giudizio una delle maggiori ingiustizie della natura a nostro riguardo; la coscienza, per quanto pura e tranquilla, non ha potenza di opporsi vittoriosamente alle immeritate afflizioni; soffriamo d’una nequizia altrui come d’un castigo. Lo sconforto, i dolori, l’avvilimento, le continue battaglie d’un’indole mite e sensibile con un destino avverso e rabbioso, scossero profondamente la mia robusta salute. Conobbi allora esser vero, che le passioni racchiudono in sè i primi germi di moltissime fra le malattie che affliggono l’umanità. Dicevano i medici ch’era infiammazione di vene, o congestione del fegato; sapeva ben io che cos’era, ma non mi stava il dirlo, perchè il male da me conosciuto era pur troppo incurabile. Vedeva da lon-