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338 le confessioni d’un ottuagenario.

abbondante del petto rimaneva ignuda: io non mi fermai a guardare con troppo piacere, ma sentii piuttosto un solletico ai denti, una voglia di divorare. I fumi dell’anesone mi lasciavano travedere che quella era carne, e mi lasciavano soltanto quel barbaro barlume di buonsenso che resta ai cannibali. La Signora parve soddisfattissima della buona impressione prodotta sopra di me, e chiese al Colonnello se fossi io quel giovane che desiderava impiegarsi in qualche amministrazione. Il Colonnello si affrettò a rispondere di sì; e s’ingegnava di stornare da me l’attenzione della Signora. Sembrava invece che costei s’invaghisse sempre più del mio bel contegno, perchè non cessava dall’osservarmi e dal volgere il discorso a me, trascurando affatto il Colonnello.

— Carlo Altoviti, mi sembra — disse con gentilissimo sforzo di memoria la Signora.

Io m’inchinai, diventando tanto rosso che mi sentiva scoppiare. Erano crampi di stomaco.

— Sembrami, — continuò ella — aver osservato questo nome, se non isbaglio, l’anno scorso nell’annuario della nostra alta magistratura. —

Io diedi una postuma gonfiata in memoria della mia intendenza, e mi tenni ritto e pettoruto, mentre il Colonnello rispondeva che infatti io era stato preposto alle Finanze di Bologna.

— E c’intendiamo, — soggiunse la Signora a mezza voce inchinandosi verso di me; — il nuovo governo.... queste sue massime.... insomma vi siete ritirato!

— Già — risposi io con molto sussiego, e senza aver nulla capito.

Allora cominciarono ad entrar in sala conti, contesse, principi, abati e marchesi, i quali venivano mano a mano annunciati dalla voce stentorea del portiere: era un profluvio di don che mi tambussava le orecchie, e diciamolo