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336 le confessioni d’un ottuagenario.

s’anco qualche altro amoruzzo della Pisana, l’avessero svogliata di me.

— Ma ho poi ragione di lamentarmene? — seguitava col pensiero. — Se mi ama meno, non è giustizia?... Che ho fatto io tutto l’anno passato? —

Cosa volete? trovava tutto ragionevole, tutto giusto, ma questo sospetto di essere dimenticato e abbandonato dalla Pisana per sempre, mi dava per lo meno tanto martello quanto la fame. Non era più il furore, la smania gelosa d’una volta, ma uno sconforto pieno d’amarezza, un abbattimento che mi faceva perdere il desiderio di vivere. Sbattuto fra questi varii dolori, salii dal signor Colonnello, il quale leggeva i rapporti settimanali dei capitani, fumando come aveva fumato io quand’era intendente, e inaffiandosi a tratti la gola con del buon anesone di Brescia.

— Bravo Carletto! — sclamò egli offerendomi una seggiola. — Versane un bicchiere anche per te, che mi sbrigo subito. —

Io ringraziai, sedetti, e volsi un’occhiata per la stanza a vedere se ci fosse focaccia, panettone o qualche ingrediente, da maritarsi coll’anesone per miglior ristoro del mio stomaco. Non c’era proprio nulla. Io mi versai un bicchiere colmo raso di quel liquore balsamico, e giù a piena gola che mi parve un’anima nuova che entrasse. Ma si sa cosa succede da quel tafferuglio tra l’anima vecchia e la nuova, massime in uno stomaco affamato. Successe che perdetti la tramontana, e quando mi alzai per tener dietro al colonnello, era tanto allegro, tanto parolaio quanto nel sedermi era stato grullo e mutrione. Il soldataccio se ne congratulò come d’un buon pronostico, e nel salir le scale mi esortava a mostrarmi pur gaio, lesto, arditello, chè alle donne di mezza età, e che non hanno tempo da perdere, piacciono cotali maniere. Figuratevi! io era tanto gaio che fui per dar il naso sull’ultimo gradino: per altro