Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/341


capitolo decimonono. 333

zioni e nella splendida padrona del buon colonnello, pure accortomi che solo non era buono a nulla, mi tenni contento di provar l’ajuto degli altri. Tornai a casa a spazzolarmi l’abito, per la presentazione che dovea succedere l’indomani. Anch’io ricorsi alla splendidezza della mia padrona di casa per un poco di patina da lustrarmi gli stivali, e sciorinai sopra una seggiola l’unica camicia che mi rimaneva, dopo quella che portava addosso. Nel candore di questa mi deliziava gli occhi, consolandoli della sparutezza del resto.

Il mattino appresso venne l’ordinanza del colonnello ad avvertirmi, che la signora aveva accolto benissimo la proposta, ma desiderava ch’io le fossi presentato la sera, essendo quello giorno di gran faccende per lei. Io diedi un’occhiata agli stivali e alla camicia, lamentando quasi di non esser rimasto a letto per conservar loro l’originaria freschezza fino al solenne momento; poi pensando che di sera non vi si abbada tanto pel sottile, e che un ex–intendente doveva possedere ripieghi di vivacità e di coltura da far dimenticare la soverchia modestia del proprio arnese, risposi all’ordinanza che sarei andato a casa del colonnello verso le otto, ed uscii poco stante di casa. Venne il momento della colazione e lo lasciai passare senza palparmi il taschino; fu un’eroica deferenza per l’ora successiva del pranzo. Ma scoccata questa vi misi entro le mani e ne cavai quattro bei soldi, che in tutti facevano, credo, quindici centesimi di franco. Non credeva per verità di esser tanto povero; e la quadratura del circolo mi parve problema molto più facile del pranzo, che io doveva cavare da quella meschina moneta. E si che non era stato intendente per nulla, e di bilanciare le entrate colle spese doveva intendermene più che ogn’altro! — Adunque, senza abbattermi di coraggio provai. — Un soldo di pane, due di salato ed uno d’acquavite per