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332 le confessioni d’un ottuagenario.

— A Milano ho una padrona di casa, — egli soggiunse.

— Sì, come l’avevi anche a Genova?

— Eh! Tutt’altro! Quella era spilorcia come uno speziale, questa invece splendida più d’un ministro. A quella ho dovuto rubare il gatto, e da questa, se volessi, potrei farmi regalare un diamante al giorno. È una riccona sfondata, che ha corso il mondo a’ suoi tempi, ma ora dopo una vistosa eredità s’è rimessa in regola, ed ha voce di compita signora: non più colla lanugine del pesco sulle guance, ma vezzosa ancora e leggiadra al bisogno; massime poi in teatro quand’è un po’ animata. Figurati, essa mi ha preso a volere un bene spropositato, ed ogni volta che passo per Milano mi vuole presso di sè: mi ha perfin detto in segreto, che se avesse vent’anni invece di trenta vorrebbe partir con me per la guerra.

— E che c’entra questa signora con me?

— Che c’entra? diavolo! tutto! Essa ha molte relazioni ben in alto; e ti raccomanderà validamente per quel posto che vorrai. Se poi ti quadra meglio un ministero privato, credo che la sua amministrazione sia abbastanza vasta per offrir impiego anche a te.

— Ricordati che io non voglio rubar il pane a nessuno; e che se lo mangio, intendo anche guadagnarmelo colle mie fatiche.

— Eh! sta pur cheto che non avrai scrupoli da questo lato. Tu credi forse che sia come nelle nostre fattorie del Friuli, dov’è comune la storia che il fattore si fa ricco a spalle del padrone tenendo le mani alla cintola! Eh, amico: a Milano se ne intendono! Pagano bene, ma vogliono esser serviti meglio: il ragioniere s’ingrasserà, ma il padrone non vuol diventar magro per questo. Lo so io come vanno le faccende! —

Questo disegno non mi sconveniva punto; e benchè non avessi una fede cieca nelle onnipotenti raccomanda-