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capitolo decimonono. 331

da papà, le viene accumulando un po’ di dote, e si guadagna la vita col dar lezioni in paese. Ultimamente coll’eredità di suo fratello Grifone, ch’è morto a Lubiana per una caduta da un tetto, egli comperò dagli altri fratelli la casa a nome proprio e della sorella. Così si liberò anche dalla noja di vivacchiare stentatamente insieme ad altri inquilini cenciosi e pettegoli. Credo che se potesse accasare decentemente l’Aquilina, non sarebbe uomo più beato di lui.

— Vedi come siamo noi soldati?... Restiamo felici anche senza gambe!

— Bravo, Alessandro: ma io non voglio perder le gambe per nulla. Son capitali che bisogna investirli bene o tenerseli.

— E dici nulla tu, in otto anni al più diventar generale! Non è un bell’interesse?

— Sì; ma a me garba meglio restar con questo vestito e colla mia miseria.

— Dunque non posso ajutarti in nulla? Io! che potrei servirti d’una trentina di scudi; non più, vedi, perchè non sono il soldato più sparagnino, e tra il giuoco, le donne e che so io, la paga se ne va... Ma ora che ci penso; t’adatteresti anche a pigliar servizio nel civile? —

Il buon colonnello non vedeva nulla fuori dell’armata; egli avea già dimenticato che un quarto d’ora prima gli avea raccontato tutta la mia carriera nelle finanze, e la mia dimissione volontaria dal posto d’intendente. Fors’anco supponeva che le Finanze non fossero altro che uffici suppletorii all’esercito, per provvederlo di vitto, di vestito e del convenevole peculio per sostenere gli assalti del faraone e della bassetta. Alla mia risposta, che mi sarei accontentato d’ogni impiego che non fosse pubblico, egli fece col viso un certo atto, come di chi è costretto a togliere ad alcuno buona parte della sua stima: tuttavia non ne rimase affievolita per nulla la sua insigne bontà.