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330 le confessioni d’un ottuagenario.

far conversazione, andando da casa mia verso Piazza del Duomo.

Alla fine diedi fondo ad ogni mia roba. Per quanto in quel frattempo avessi strologato sulla maniera da cavarmela in un caso tanto urgente, non m’era venuta neppur un’idea. Una mattina avea incontrato il colonnello Giorgi che veniva dal campo di Boulogne, e correva anch’esso in Germania colla speranza d’esser fatto in breve generale.

— Entra nell’amministrazione dell’armata, — mi diss’egli — ti prometto farti ottenere un bel posto, e ti farai ricco in poco tempo.

— Cosa si fa nell’armata? — soggiunsi io.

— Nell’armata si vince tutta l’Europa, si corteggiano le più belle donne del mondo, si buscano delle belle paghe, si fa gran scialo di gloria e si va innanzi.

— Sì, sì; ma per conto di chi si vince l’Europa?

— Vattela a pesca! c’è senso comune a cercarlo?

— Alessandro mio, non entrerò nell’armata, neppur come spazzino.

— Peccato! ed io che sperava far di te qualche cosa!

— Forse non avrei corrisposto, Alessandro! È meglio che concentri tutte le tue cure verso di te. Diventerai generale più presto.

— Ancora due battaglie che mi sbarazzino di due anziani, e lo sono di diritto: le palle dei Russi e dei Tedeschi sono mie alleate, questo è il vero modo di vivere in buona armonia con tutti. Ma dunque tu vuoi proprio tenerci il broncio a noi poveri soldati?

— No, Alessandro; vi ammiro e non son capace d’imitarvi.

— Eh capisco! ci vuole una certa rigidezza di muscoli!... Dimmi, e di Bruto Provedoni hai notizie?

— Ottime si può dire. Vive con una sua sorella di diciotto o diciannove anni, l’Aquilina, te ne ricordi? le fa