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capitolo decimottavo. 319

d’un punto. La Pisana a quel tempo io l’amava tanto, che tutte le altre donne mi sembravano a dir poco uomini. Ometti bellini, piacevoli, eleganti, in rispetto alle bolognesi; ma sempre uomini; e non era nè rusticità, nè musoneria; ma tutto amore era. Così non mi vergogno a confessarvi d’aver fatto parecchie volte il Giuseppe Ebreo: mentre invece nella successiva separazione dalla Pisana andai soggetto a varie distrazioni. Vuol dire che non l’amava meno, ma in modo diverso; e, checchè ne dicano i platonici, io sopportai la seconda lontananza con molto miglior animo che la prima.

Allora peraltro, avendo una gran fretta e un furore indiavolato di riavere la Pisana, non potendo saperne una di chiara da lei, mi volsi all’Aglaura pregandola, se aveva viscere di carità fraterna, a volermi significare senza misteri, senza palliativi, quanto concerneva mia cugina. In fino allora mia sorella s’era schivata sempre di rispondere esplicitamente alle mie inchieste sopra tale proposito; e col credere o col non sapere se la cavava pel rotto della cuffia. Ma quella volta, conoscendo dal tenor della lettera che veramente io era sgomentatissimo e in procinto di fare qualche pazzia, mi rispose subito che aveva sempre taciuto, pregata di ciò dalla Pisana stessa, che allora peraltro voleva accontentarmi perchè vedeva l’agitazione della mia vita: che sapessi dunque esser già da sei mesi la Pisana in casa di suo marito; occupatissima a fargli d’infermiera, e che non pareva disposta ad abbandonarlo. Mi dessi pace ch’ella mi amava sempre, e che la sua vita a Venezia era proprio quella d’un’infermiera.

Oh se avessi allora avuto fra le unghie sua eccellenza Navagero!... Credo che non avrebbe abbisognato più a lungo di infermieri. Cosa gli saltava a quel putrido carcame di rubarmi la mia parte di vita?... C’era mo' giustizia che una giovane come sua moglie... Mi fermai un poco su que-