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316 | le confessioni d’un ottuagenario. |
dicesse pure, perchè in questo caso avrei domandato un passaporto, e sarei ito a tenerle compagnia per tutta la durata del mio permesso. Non mancava poi mai di chiederle informazioni della preziosissima salute di sua eccellenza Navagero, il quale, secondo me, doveva esser andato al diavolo da un pezzo: eppur la Pisana non mi rispondeva mai, neppure in qual mondo egli fosse. La trascuranza di ciò ch’ella sapeva dovermi tanto premere finì di punzecchiare l’amor proprio del magnifico intendente di Bologna. Per completare la mia grandezza, perchè il carro del mio trionfo avesse tutte quattro le ruote, mi bisognava una moglie; e questa non poteva aspettarla che dalla morte del Navagero. Mi stupiva quasi come questo inutile nobiluomo non si fosse affrettato a morire per far piacere ad un intendente par mio. Se poi era la Pisana che me ne tardava a bella posta la novella, l’avrebbe a che fare con me!... Voleva che sospirasse almeno un anno la mano del futuro ministro delle finanze... e poi?... oh, il mio cuore non sapeva resistere più a lungo, nemmeno in idea. L’avrei assunta al mio trono, come fece Assuero dell’umile Ester; e le avrei detto: — Mi amasti piccolo, grande te ne ricompenso! — Sarebbe stato un bel colpo; me ne congratulava con me stesso; passeggiando su e giù per la stanza, sfregolandomi il mento, e masticando fra i denti le paroline che avrei soggiunto ai ringraziamenti infocati della Pisana. I subalterni, che entravano con fasci di carte da firmare, si fermavano sulla soglia, e andavano poi fuori a raccontare che l’intendente Soffia era tanto in sul soffiare che pareva matto.
Peraltro quei giorni meno che gli altri avevano a lagnarsi di me: e in generale, siccome lavorava molto io, ed era paziente e corrivo cogli altri, in onta al mio soffiare aveano preso a volermi bene. Gli uomini bolognesi sono i più gentili mordaci e dabbene di tutta Italia; per cui anche