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lontanato ogni vero repubblicano. Io in verità ne sentii qualche voglia; e non tanto per la repubblica in sè, quanto perchè il fervore repubblicano era ormai il solo incentivo di quelle mie ostinate speranze sopra Venezia, per le quali soltanto m’induceva a durare negli uffici della Cisalpina. Ma avvenne allora un caso che mi stornò da cotale idea. Ricevetti nientemeno che la nomina d’intendente, vale a dire prefetto delle finanze a Bologna.

Fosse che il nuovo governo mi giudicasse proclive alle sue massime d’ordine e di moderazione, o che mi ricompensassero del lavoro assiduo e utilissimo di quegli ultimi mesi, il fatto sta che la nomina io la ebbi e con mia grande sorpresa. Forse anco si abbisognava per quel posto d’un uomo laborioso, attento, infaticabile, e a cotal uopo fu creduto atto più un giovane che un magistrato provetto. Io per me fui portato via da un tal delirio d’ambizione che per due o tre mesi non mi ricordai più nè di Lucilio nè quasi anche della Pisana. Mi pareva già che il ministero delle finanze mi sarebbe toccato alla prima occasione; e una volta là in alto, chi sa?... Il cambiar poltrona è impresa sì agevole, quando si è tutti insieme in una stessa sala! Pensava alle antiche lusinghe di mio padre e non le trovava più nè strane nè irragionevoli; soltanto quella presidenza decennale di Bonaparte mi angustiava un poco, e per quanto fossi temerario, non giunsi, lo confesso, nemmeno in sogno a spuntarla con lui. Mi pareva un pezzo troppo grosso da sollevare. Quanto agli altri avrei adoperato Prina come savio amministratore; e con Melzi ci saremmo intesi. Sapeva della sua crescente dissensione col console per quel fare da sè, e quello stare da sè che dipendeva dalla sua natura tutta italiana, e tendeva per opera sua a regolare gli andamenti del governo italiano appetto del francese. Di ciò mi sarei giovato con arte, con furberia: fermo sempre, che tutta la mia ambizione, tutte le