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capitolo decimottavo. 305

casa. Porta via di qua, strascina di là, sciupa, vendi, impresta, trovai le camere vuote: cioè vuote no, correggo. Leone che s’è trapiantato colla famiglia a San Vito a far il fattore, ha creduto bene di affittar la casa, ad eccezione di tre stanze lasciate all’Aquilina e a Mastino: chè in quanto a Grifone era partito per l’Illirico col suo mestiero di capo–mastro. Tre mesi dopo venne offerto a Mastino un posto di scritturante ad Udine, e se la svignò lasciando sola soletta in quelle tre camere una ragazza di quattordici anni. Gli è vero ch’è assai bene sviluppata, e fui molto contento delle lodi che mi fece l’arciprete della di lei condotta; ma ad operare in quel modo bisognava proprio aver nelle calcagna la carità fraterna.

Di tutte queste disgrazie, Carlino, alcuna ne avea già saputa per lettera, altre ne temeva, ma ti dico la verità che a toccarle con mano mi fecero un effetto terribile, e quale non mi sarei mai aspettato. Forse anco il vedermi così storpio e impotente a mettervi riparo, finì di amareggiare il mio dolore già per sè acerbissimo. Ma un altro colpo mi dovea toccare che appena giunto mi ha proprio buttato a terra. L’Aquilina fra le tante mi avea raccontato anche la morte del dottor Natalino, avvenuta un paio di mesi prima. Una sera indovinereste chi mi capitò in casa?... Mia cognata, quella sciagurata della Doretta!... Aveva insieme uno scribacchiante, un mingherlino che si diceva figliuolo d’un avvocato Ormenta di Venezia, e veniva con lei a reclamare la sua dote e l’eredità del marito. Cosa ne dici eh!... Che cuori!... La dote che nessuno ci avea mai pagata!... L’eredità d’un uomo ch’ella avea si può dire ammazzato!... Ma siccome ell’aveva una confessione di debito scritta di pugno di Leopardo otto mesi dopo il loro matrimonio, e d’altronde si commiserava della propria posizione, e il mingherlino mi diceva sotto voce, che senza il sussidio di quei danari l’onore di mia cognata avrebbe