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300 le confessioni d’un ottuagenario.

— Io però non ci credeva molto — riprese la Pisana — o se ci credeva non glie ne venne alcun utile, perchè cercava forse di staccarmi da te, e non fece altro che precipitare la mia venuta a Milano.

— Basta, basta! — diss’io che non udiva ricordare molto volentieri questa parte della nostra vita. — Vediamo ora cosa ne scrive da Cordovado Bruto Provedoni. —

E leggemmo la lettera tanto sospirata del povero invalido. Io potrei anche, come ho fatto finora, darvene il compendio; ma la modestia di scrittore non lo permette; qui bisogna cedere il campo ad uno migliore di me, e vedrete come un animo generoso sa sopportar la sciagura e guardar dall’alto le cose del mondo senza negar loro nè cooperazione, nè pietà. La lettera l’ho ancora fra le mie cose più care; nel reliquario della memoria, che principia colla ciocca di capelli fattasi strappare dalla Pisana, e finisce colla spada di mio figlio che jeri mi giunse dall’America insieme con la tarda conferma della sua morte. Povero Giulio! era nato per esser grande; e non potè esserlo che nella sventura. Ma torniamo al principio del secolo, e leggete intanto cosa mi scriveva a Ferrara Bruto Provedoni, tornato da poco tempo nel suo paesucolo con una gamba di meno, e molti affanni di più.

Carlino amatissimo!

«Ho volontà di scrivervi a lungo, perchè molte sono le cose che vorrei dirvi e tante le dolorose impressioni che m’ebbi tornando, che mi pare non dovrei mai finire dal raccontarvele. Ma son poco avvezzo a tener la penna in mano, e spesso mi bisogna lasciar da una banda i pensieri, e limitarmi a quelle cose materiali che posso alla meglio esprimere. Peraltro di voi non ho soggezione, e lascerò che l’animo parli a suo modo. Dov’egli non si esprimesse