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296 | le confessioni d’un ottuagenario. |
ragioni non v’ha stizza repubblicana che tenga. Io per me, fedele agli antichi principii, sperava nelle nuove cose, perchè non sapea figurarmi che di tanto avessero cangiato gli uomini in così breve tempo. Per questo non mi andò a verso che Lucilio rifiutasse una carica cospicua offertagli dal nuovo governo; e per me accettai volentieri un posto d’auditore nel Tribunal militare. Indi, siccome si abbisognava di amministratori galantuomini, mi traslocarono segretario di Finanza a Ferrara. Non mi spiaceva il guadagnarmi onoratamente un pane, perchè tra le dodicimila lire lasciate alla vedova del Martelli sopra una casa bancaria di Napoli, le doble spese a Genova, e le cedole negoziate a Marsiglia tutto il peculio consegnatomi da mio padre prima di morire se n’era ito in fumo. Il colonnello Giorgi mi veniva dicendo anche allora a Milano, che mi raccomandassi a lui e che m’avrebbe fatto creare maggiore del Genio o dell’Artiglieria; ma vivendo io colla Pisana, la carriera militare non mi quadrava, e mi si attagliavano meglio gli impieghi civili. Infatti a Ferrara ci accasammo molto onorevolmente. Bruto Provedoni, che ci aveva accompagnato fin là diretto per Venezia e pel Friuli, ci promise che avrebbe scritto amplissime informazioni sopra tutto ciò che ci premeva sapere; e noi contenti di esserci salvati con tanta fortuna da quel turbine, che aveva inghiottito gente più grande ed accorta di noi, stemmo ad aspettare con pazienza che imprevisti avvenimenti finissero di mettere la nostra vita perfettamente in regola.
La morte di Sua Eccellenza Navagero che non doveva esser lontana, mi stava molto a cuore. Poveretto! Non gli augurava male; ma dopo aver vissuto abbastanza felice oltre ad una settantina d’anni poteva bene lasciar il posto a un pochetto di felicità per noi. Senza volerlo, credo che mi moderassi anch’io secondo le opinioni più discrete di quel secondo periodo repubblicano: quell’amore spen-