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capitolo decimottavo. 295

due eserciti, ciascuno de’ quali aveva la propria patria alle spalle dell’inimico!

In questo mezzo gli esulanti di Genova, secondo i patti della convenzione, si trasportavano sopra navi inglesi ad Antibo. Io, la Pisana, Lucilio e Bruto Provedoni eravamo del numero. Bruttissimo viaggio, e che mi privò delle mie ultime doble. A Marsiglia fui contentissimo di trovar un usuraio che mi scambiasse al trenta per cento le cedole austriache e siccome era già pervenuta la notizia della vittoria di Marengo, ripigliammo tutti insieme la strada d’Italia. Si sperava assai; si sperava più che non si riconquistò, e il riconquisto d’allora fu quasi miracolo. Ma nessuno avrebbe immaginato che Melas si disanimasse per una prima sconfitta; e la continuazione della guerra allargava il campo delle lusinghe, fino a far travedere in lontananza la restituzione di Venezia in libertà o il suo aggiungimento alla Cisalpina. Invece incontrammo per istrada la nuova della capitolazione di Alessandria, per cui Melas si ritraeva dietro al Po ed al Mincio e i Francesi rioccupavano Piemonte, Lombardia, Liguria, i Ducati, la Toscana, le Legazioni. Il nuovo Papa eletto a Venezia e da poco rientrato in Roma fra le fastose accoglienze degli alleati napoletani, credeva aver che fare a riconquistar il potere dalle mani troppo tenaci degli amici; invece dovette accettarlo dalla clemenza dei nemici firmando con Francia un concordato ai 15 luglio. Ma il Primo Console s’atteggiava allora a protettore dell’ordine, della religione, della pace; e Pio VII, il buon Chiaramonti, gli credeva senza ritegno.

Le nuove consulte provvisorie pullulavano ovunque, con questo nuovo sapore di pace di ordine di religione. Lucilio e tutti i vecchi democratici ne torcevano il grugno; ma Bonaparte blandiva, ubbriacava il popolo, accarezzava i potenti, premiava largamente i soldati; e contro simili