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capitolo decimottavo. 293

i nostri umori biliosi; e sì che vento di parole non n’era mancato. La Pisana, per farmi dispetto, seguitò lunga pezza a lodare e magnificare i buoni portamenti e il valore stragrande del colonnello Alessandro, dicendo che per farsi di mugnaio esperto soldato in così breve tempo si voleva un ingegno sperticato, e che ella già aveva sempre augurato bene di quel giovine distinguendolo dagli altri fin da piccino.

Io ingelosiva furiosamente di questi richiami ad un tempo, nel quale molte volte aveva dovuto soffrire la fortunata rivalità del piccolo Sandro; e vedendo compiacersi lei di cotali memorie, ognuno si figurerà i sospetti che ne induceva. Così gelosi ambidue, stancheggiati dal digiuno, divisi dal resto del mondo, e con un futuro dinanzi che non dava nulla da sperare, noi cercavamo del nostro meglio ogni via per infastidirci scambievolmente. Ma appena poi il bell’Alessandro mostrava volersi ingalluzzire per le lusingherie della Pisana, ecco ch’ella se ne ritraeva quasi spaventata. E toccava a me farle veduto che certe schifiltosità non istanno bene, che bisogna compatire alle educazioni un po’ precipitate, e che la trivialità d’un bravo e dabben soldataccio non va guari confusa colle oscene allusioni d’un bellimbusto sboccato. Alessandro, in uggia a me mentre era careggiato dalla Pisana, e difeso invece quando ella lo aspreggiava, non sapeva più per qual manico prendere il coltello; e stava nella nostra conversazione come un ballerino sulla corda, prima di essersi bilanciato. Peraltro quando la Pisana si mostrava affatto ingiusta col povero colonnello, io aveva ancora un mezzo di farle cadere la stizza; ed era il ricordarle quel buon brodo di pollo d’India procuratole da lui solo. Ella che ne aveva gran desiderio da un pezzo, perchè i zuccherini cominciavano a impastarle la bocca, gli tornava allora dietro coi più dolci vezzi del mondo; e Alessandro si pa-