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292 le confessioni d’un ottuagenario.

Un giorno tornavamo da una visita fatta al colonnello Alessandro nel forte di Quezza, ch’era uno dei più esposti. Le bombe piovevano sulle casematte, mentre noi facevamo un brindisi col Malaga alla fortuna di Bonaparte e alla costanza di Massena. La Pisana baccheggiava come una vivandiera, e in quel momento le avrei dato uno schiaffo; ma si serbava sempre così bella, così bella, per quante pazzie e scioccaggini commettesse, che avrei temuto di guastarla. Uscendo dal forte, Alessandro ci gridava dietro che badassimo ai bei fuochi d’artifizio; infatti le bombe di Otto descrivevano per aria le più vezzose parabole, e se non ci fosse stato il tonfo della caduta e il fragore e la rovina dello scoppio, sarebbe stato un onestissimo divertimento. Io affrettava il passo; e ve lo assicuro, non tanto per me quanto per veder la Pisana fuori di quel gran pericolo; ma ella se ne aveva a male, e borbottava della mia dappocaggine, e mi faceva montar la stizza portando a cielo Alessandro, e le sue belle maniere soldatesche, e i suoi frizzi e le sue baiate che non erano poi d’un gusto molto raffinato. Ma la Pisana aveva la passione dei tipi; e certo le sarebbe spiaciuto un lazzerone senza cenci e senza maccheroni, come un colonnello mugnaio senza pizzicotti e senza bestemmie. Io mi difendeva con dignitoso silenzio; ma ella dava a divedere d’ascrivere questa ritenutezza ad invidia. Allora la mia bile sforzò il turacciolo, e diedi una gran vociata gridando che se fossi stato donna, io avrei voluto lodarmi piuttosto di Monsignore suo zio che di quel zoticone di colonnello. Lì appiccammo una lite; chè ella mi tacciava d’ingratitudine, ed io lei di soverchia indulgenza per le scurrili maniere di Alessandro. Terminammo a casa col sederci allo scuro io sopra una seggiola, ed ella sopra un’altra col viso rivolto alla parete. Lucilio rientrando indi a poco ci trovò addormentati, segno evidentissimo che la tempesta aveva appena sfiorato