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22 | le confessioni d'un ottuagenario. |
— Sì, — egli riprese — non fartene le meraviglie: poiché stasera sarai chiarito di tutto. Intanto io voglio metterti sulla buona via, perchè non ti perda poi nel momento decisivo. Sai tu, figliuol mio, che cosa voglia dire una Repubblica democratica?
— Oh certo, — io sclamai coll’ingenuo entusiasmo d’un giovane di ventiquattro anni. — Essa è la concordia della giuistizia ideale colla vita pratica, è il regno non di questo o di quell’uomo, ma del pensiero libero e collettivo di tutta la società. Chi pensa rettamente ha diritto di governare, e governerà bene. Ecco il suo motto.
— Va bene, va bene, Carlino; — riprese biasciando mio padre. — Questo sarà un bel concetto scientifico, e mettilo da una parte perchè il signor Giulio se ne faccia bello in qualche canzonetta. Ma un governo di tutti, cercato da pochi, imposto da pochissimi, e creato da un generale còrso; un governo libero di gente che non vuole e non può esser libera, sai tu qual piega sia disposto a prendere? —
Io mi guardai intorno confuso, perché in tali materie usava far i conti senza pensare agli uomini: e sommava e moltiplicava, e divideva come se tutto fosse oro, ma alla fine invece di trovarmi innanzi una somma netta e liquida di zecchini, poteva darsi benissimo che rimanessi con un ciarpame di soldacci e di quattrinelli. Io, come dissi, non ci pensava, e perciò mi confusi affatto alla domanda di mio padre.
— Ascolta; — continuò egli col fare paziente del maestro che riprende l’insegnamento dal bel principio. — Queste cose che tu abbellisci di sogni e di illusioni, io le ho prevedute da anni, tali quali devono essere. Non capisco per verità, né pretendo capire a fondo le tue immaginazioni, ma ci veggo per entro una buona dose di gioventù e d’inesperienza. Se fosti stato per qualche tempo alle