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288 | le confessioni d’un ottuagenario. |
qui di volo: ma giuraddio, se avessi sostenuto in carré una carica di cosacchi non sbufferei di più!... —
Io consolai il giovine colonnello delle sue disgrazie; e lo menai poscia dalla Pisana a ricevere i ringraziamenti dovutigli; ma ebbimo cura di cambiar il gatto in un pollo d’India, e perciò non risaltarono tanto i pericoli corsi dal paladino per conquistarlo. Ad ogni modo, grazie alla furberia della cuoca piemontese, il brodo ottenne l’aggradimento della padrona; lo si disse un po’ insipido per esser di pollo d’India, ma siccome anche i polli soffrivano per la carestia, non ci badò tanto pel sottile. Sono storielle un po’ insulse dopo la grande epopea delle mie imprese di Napoli; ma ad ogni stagione i suoi frutti; e quella reclusione di Genova accennava sul principio di volgere in buffo. Soltanto Lucilio non rimetteva nulla della sua consueta gravità; e succiava seriamente le sue radici di cicoria, come le fossero polpette di selvaggina, o salsicciotti di pollo.
Un’altra volta il mugnaio colonnello mi venne a trovare meno rosso e giovialone del solito. Io ne dava la colpa al cavallo salato che cominciava a mancare, ma mi rispose d’aver ben altro pel capo, e che m’avrebbe condotto in tal luogo, dove forse anch’io sarei partito con tutt’altra voglia che di berteggiare. Per verità io non trovava più allettamento a simili improvvisate, ma per quanto ne stringessi Alessandro, egli nulla volle dirmi, e rispondeva sempre che avrei veduto all’indomane. Mi venne infatti a prendere il giorno appresso, per condurmi allo spedal militare. Là trovammo il povero Bruto Provedoni che cominciava ad alzarsi allora da una lunga malattia; ma si era alzato con una gamba di legno. Immaginatevi la brutta sorpresa! Anche Alessandro avea ignorato un pezzo la disgrazia dell’amico, e non avendone novella da un secolo la credeva forse anco peggiore; quando cercando per gli spedali d’un suo soldato che non si trovava più, e lo di-