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capitolo decimottavo. 285

A questa dichiarazione, e più al nome di Federico II, la faccia del colonnello si rischiarò.

— Benone, — riprese egli contentissimo accarezzandosi le guance. — Io farò così un qualche vezzo all’arpia... ma adesso che ci penso cosa dirà la cameriera?

— Che c’entra in tuttociò la cameriera?

— C’entra, c’entra... oh bella! c’entra, perchè ci deve entrare.

— È giovine e bella la cameriera?

— Fresca, per dio, e salda come un pomino non ben maturo: con certe imbottiture intorno che ricordano le nostre paesane, e una bocchina che a Genova non se ne vedono di compagne.

— Allora capisco perchè c’entra lei. Son tutte conseguenze di conseguenze!... La cameriera potresti mandarla fuori a comperarti, che so io, della polvere di tripoli per gli speroni.

— No, no, amico, mi tirerei addosso le gelosie della figliuola della portinaia!

— Ma caro il mio Alessandro, tu sei il cucco delle donne...? Bisogna proprio dire che pel sesso debole certi stimoli siano più urgenti di quelli della fame!

— Sarà un accidente, Carlo!... Ma del resto fra queste cere da assedio, il mio colorito, la mia corporatura devono far colpo per forza!... E poi tra Genovesi e Friulani per forza bisogna intendersi a motti; abbiamo due dialetti così incomprensibili, che a dimandar pane si piglierebbero sassate.

— Buona la ragione! ma guai se non avessi il tuo cavallo salato! — Peraltro alla cameriera potresti consegnare qualche cosa da stirare!...

— Sì, sì! vedo io, capisco io! lascia fare a me!... Domani avrai il tuo gatto, da far il brodo per quindici giorni.