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284 le confessioni d’un ottuagenario.

nè dimenticherò a bella posta: la signora entrerà, e nel frattempo la mia ordinanza farà la festa al gatto.

— Ben immaginato, perbacco: diventerai generale presto con queste meravigliose attitudini. Grazie adunque, e ricordati che aspetto dal tuo gatto la salute di mia cugina. —

Il giorno dopo, Alessandro venne a trovarmi nella mia stanza che sonava mezzogiorno: aveva la cera negra e il viso imbronciato.

— Che fu mai? — gli dissi io correndogli incontro.

— Arpia maledetta! — sclamò il colonnello. — Te lo saresti immaginato tu che venisse a picchiare al mio uscio col suo stupido gatto sotto il braccio?...

— E così?

— E così dovetti sorbirmi mezz’oretta di conversazione, che ne ho ancora sconvolte tutte le interiora, e scommetto che son bianco di bile come quando stava nel mulino!... Oh la maniera di dividerla da quel gatto indiavolato, dimmela tu se la sai immaginare!

— Per esempio, se tu facessi per abbracciarla? —

Il povero Alessandro fece un atto come se gli avessi dato a fiutare una carogna.

— Temo che sia l’unica, — egli rispose; — ma se poi il gatto non se ne va, se tarda ad andarsene?...

— Oh diavolo! ad un capitano par tuo mancano mezzi da tirare in lungo una battaglia? —

Alessandro assunse a queste mie parole una cera grave e dignitosa; non ne scernevo il perchè, quando fui come rischiarato da un lampo.

— Scusa, sai; — aggiunsi — ho adoperato il vocabolo capitano nella sua significazione etimologica di capo; come si chiamano capitani Giulio Cesare, Annibale, Alessandro, Federico II! Non mi dimentico mai il grado che occupi ora. —