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282 le confessioni d’un ottuagenario.

— No, no; il male è già conosciuto; dipende da difetto d’aria e di nutrimento.

— Non ha altro? Fidati di me! domani son di guardia alla Polcevera e là le farò respirare tanta aria in un’ora, quanta a Fratta non se ne respira in un giorno.

— Sì, eh, alla Polcevera, con quei finocchietti che vi va regalando Melas!

— Ah! è vero, mi dimenticavo che è una contessina, e che le bombe la possono infastidire. Allora non c’è rimedio; mandala a spasso sui tetti.

— Se avesse le forze e la volontà occorrente, farebbero anche i tetti, ma una malaticcia che si nutre di brodo di lattuga, non può certo avere una gran vigoria.

— Pover’a lei! Peraltro io posso trarti d’impiccio!... Vedi ch’io mi conservo abbastanza grasso e tondo, mi pare!

— Davvero, sembri un cappellano del Duomo di Portogruaro.

— Eh! altro che cappellani! Di’mo che a cantare in coro si guadagnano muscoli di questa sorte! (e tendeva e gonfiava un braccio che per poco non faceva scoppiare le cuciture.) Io, vedi, mi son mantenuto così grazie alla mia previdenza. Ho, ammazzati i miei due cavalli, li ho fatti salare, e me li pappo a quattro libbre il giorno. Dopo sarà quel che sarà. Ma se vuoi entrare a parte della cuccagna...

— Figurati! per me volentieri, e mi rimorderebbe di privar te; ma per la Pisana il cavallo salato non le conviene.

— Allora un altro ripiego; la mia padrona di casa è tirata come una genovese, e non mangia altro che erbe cotte, tagliate da un suo cortiletto che onora col nome di orto. Ma già credo che anche prima dell’assedio non mangiasse meglio, e la vita non è altro per lei che un lun-