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capitolo decimottavo. 281

il giorno dopo al nostro arrivo, cominciò la flotta inglese lo strettissimo blocco, e in poche settimane ci ridusse alla caccia dei gatti. Aveva peraltro un gran conforto, e questo era la protezione offertami in ogni incontro dall’amico Alessandro mugnaio, trovato pur esso a Genova e non più capitano, ma colonnello. Chi viveva a quel tempo andava innanzi presto. Il colonnello Giorgi non aveva ventisett’anni, sopravanzava del capo tutti gli uomini del suo reggimento, e comandava a destra e a sinistra con un vero vocione da mugnaio. Non sapeva cosa volesse dire paura, e si scaldava nel furor della mischia, senza mai dimenticarsi delle schiere che doveva condurre e governare: questi erano i suoi meriti. Scriveva passabilmente e con qualche intoppo d’ortografia, non conosceva che da un mese circa e soltanto di nome Vauban e Federico II; ecco i difetti. Pare che si desse maggior peso ai meriti, se in due anni e mezzo era diventato colonnello; ma il merito maggiore fu la carneficina di tutto il suo battaglione che, come dicemmo, lo lasciò capitano per necessità. Un giorno lo incontrai che già i magazzini cominciavano a impoverire, e chi aveva derrate a tenerli per sè. Avevo la Pisana piuttosto malata, e non m’era ancor venuto fatto di trovarle una libbra di carne pel brodo.

— Ohe, Carlino, — mi disse — come la va?

— Vedi! — gli risposi — son vivo ancora, ma temo per domani o per dopodimani. La Pisana si sente male, e andiamo di male in peggio.

— Che? la contessina è malata?... Corpo del diavolo!... Vuoi che ti procuri otto o nove medici di reggimento?... I reggimenti non ci sono più, ma sopravvivono i medici; segno del loro gran sapere.

— Grazie, grazie! ho il dottore Vianello che mi basta.

— Sicuro che deve bastare; ma diceva così per consulto, per curiosità!