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capitolo decimottavo. | 279 |
esordio delle ambizioni consolari, che finiranno poi al solito nel meschino racconto di poche e comuni fanciullaggini. Ma la luce mi attira, e bisogna che la guardi dovessi perderne gli occhi.
Vi sarete anche accorti che aveva gran fretta di uscire da quel doloroso viluppo delle mie vicende napoletane. Tutte le volte che mi fermo a contemplare quelle tetre ma generose memorie, l’anima mia spicca un tal volo che quasi le traversa tutte d’un balzo. Mi pajono racchiuse in un giorno, in un attimo solo, tanto sono diverse dalle altre che le precedettero o le seguirono. Non credo quasi possibile che chi ha sonnacchiato dieci anni della sua vita in una cucina, aspettandosi ogni tanto gridate e scappellotti e guardando grattare il formaggio, abbia poi vissuto un anno pieno di tante e così sublimi e svariate sensazioni. Sarei disposto a figurarmi che quello fu il sogno d’un anno, ristretto in un minuto. Ad ogni modo Napoli è rimasto per me un certo paese magico e misterioso, dove le vicende del mondo non camminano ma galoppano, non s’ingranano ma s’accavalcano, e dove il sole sfrutta in un giorno quello che nelle altre regioni tarda un mese a fiorire. A voler narrare senza date la storia della Repubblica Partenopea, ognuno, credo, immaginerebbe che comprendesse il giro di molti anni; e furono pochi mesi! Gli uomini empiono il tempo, e le grandi opere lo allargano. Il secolo in cui nacque Dante, è più lungo di tutti i quattrocento anni che corsero poi fino alla guerra della successione di Spagna. Certo, fra tutte le repubblichette che pullularono in Italia al fecondo alito della Francese, Cispadana, Cisalpina, Ligure, Anconitana, Romana, Partenopea, quest’ultima fu la più splendida per virtù, e fatti repubblicani. La Cisalpina portò maggiori effetti per la lunghezza della durata, la stabilità degli ordinamenti, e fors’anco la maggiore o più equabile coltura dei popoli: ma chi direbbe,