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276 le confessioni d'un ottuagenario.

guerra, vi furono morti da eroi. Francesco Martelli fu posto a difesa della Torre di Vigliena. Deliberato a morire piuttosto che cedere, mi scrisse una lettera raccomandandomi la moglie ed i figli. Giulio Del Ponte più che mai languente del suo male, e quasi sfinito affatto, chiese per grazia di avere comune col Martelli quel posto pericoloso e l’ottenne. Quando partì da Napoli per quella trista destinazione, la Pisana gli posò un bacio sulle labbra, il bacio dell’ultimo commiato. Giulio sorrise mestamente, e volse a me un lungo e rassegnato sguardo d’invidia. Due giorni dopo i comandanti della Torre di Vigliena stretta da Ruffo, da reali, e da briganti, e impotenti omai a resistere, appiccavano il fuoco alla mina, e saltavano in aria con un buon centinaio di nemici. I loro cadaveri ricadevano in brandelli in frantumi sul suolo fumigante, che l’eco della montagna ripeteva ancora il loro ultimo grido — Viva la libertà! Viva l’Italia! — Nell’anarchia di quegli ultimi giorni perdemmo di vista Amilcare, e solo qualche mese dopo seppi ch’egli avea finito a vivere da vero brigante nelle montagne del Sannio. Sorte non insolita delle indoli forti e impetuose, in tempi e in governi contrarii! — Entravano pochi giorni dopo in Napoli per viltà schifosa di Megeant, comandante francese di Sant’Elmo, Russi, Inglesi, e malandrini di Ruffo. Nelson d’un tratto annullava la capitolazione dicendo che un Re non capitola coi sudditi ribelli: allora cominciarono gli assassinii, i martirii. Fu un vero ciclo eroico; una tragedia che non ha altro paragone nella storia che l’eccidio della scuola pitagorica, nell’istessa regione della Magna Grecia. Mario Pagano, Cirillo! Due luminari delle scienze italiane; semplici, grandi come gli antichi, morirono da forti sul patibolo. Eleonora Fonseca! una donna, bevette il caffè prima d’ascender la scala della forca, e recitò il verso Forsan hæc olim meminisse juvabit. Federici maresciallo, Caracciolo ammiraglio! il fiore della nobiltà napolitana,