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capitolo decimosesto. 251

riuscito in quei primi giorni. — Ma poi, — soggiunse egli, — non ci fu più verso ch’ella volesse ricordarsi di quei primi giorni d’ebbrezza. A Milano, a Firenze, a Roma mi seguì sempre muta, altera, insensibile; godendo delle mie smanie, rispondendo alle mie preghiere, alle minaccie con queste acerbe parole: — Mi son vendicata anche troppo! — Oh! quanto soffersi, Carlo! quanto soffersi! Ve lo giuro che foste vendicato anche voi! Pregava, supplicava, piangeva, faceva voti a Dio ed ai Santi, non mi riconosceva proprio più!... Perfino alla corruzione ricorsi, e tentai coll’oro la sua cameriera, una certa veneziana dalla quale non volle mai separarsi....

— Chi? — esclamai io — come si chiamava?

— L’era una certa Rosa, una disgraziata che avrebbe venduto una sorella per dieci carlini. Ma oggi fu punita spaventosamente di ogni suo trascorso; e l’ho veduta fatta carbone fra le rovine del convento!... Or bene, neppure per l’infame intercessione di colei ottenni nulla; mi era avvilito abbastanza, mi sembra. La tolsi fuori di Roma per menarla qui in questa solitudine, ove avea deliberato di ricorrere anche alla forza per ricondurla a’ miei desideri!... Vani pensieri, o Carlo!... La forza cade in ginocchio dinanzi ad un suo sguardo!... Io capiva che qualche suprema deliberazione, qualche passione invincibile me l’avea tolta per sempre, dopo la concessione quasi involontaria d’un momento di sorpresa!... Io vi scopersi tutta intera la verità benchè non debba esserne gran fatto vanitoso; traetene voi il vostro giudizio; e regolatevi a vostra posta. Il mio quartier generale sarà domani sera a Frascati, perchè il general in capo Championnet ha ordinato una ritirata completa sopra tutta la linea. Consultatevi colla Pisana. La mia casa le sarà sempre aperta, perchè io non dimentico mai nè i favori altrui, nè le mie proprie promesse. —

Ciò dicendo il Carafa mi strinse la mano senza molta