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capitolo decimosesto. 249

Narrando ciò, non facea che ripetere la voce di tutti, e ne andava certamente illeso l’onore di colui ch’era l’eroe di quei tali amori. Ho fallato?... non mi pare!... di null’altro debbo render conto a nessuno! —

La Pisana parve soddisfatta abbastanza di questa temperatissima arringa del Carafa, e si volse a me, come il giudice al reo dopo la deposizione d’un testimonio irrefragabile.

— Pisana, perchè mi guardate a quel modo? — soggiunsi.

— Perchè? — diss’ella — perchè vi odio, perchè vi disprezzo, perchè vorrei potervi fare più onta che non vi feci col buttarmi nelle braccia d’un altro... —

Io inorridii di tanto cinismo; ella se n’avvide, e si contorse tutta come uno scorpione toccato da una bragia. Si pentiva d’essersi mostrata qual era, veramente diabolica ed insensata in quel momento di rabbia.

— Sì — riprese ella — guardami pure!... io posso amare un uomo ogni giorno quando tu giuravi di amar me, e macchinavi già di rapire l’Aglaura!... —

— Insensata! — gridai. Corsi al mio baule, ne trassi alcune lettere di mia sorella, e le buttai sulla tavola dinanzi a lei. — Un lume! — ordinai poi sulla porta; ed avutolo lo posi vicino alla Pisana, e le dissi: — Leggete!... —

La fortuna mi aiutava, col lasciarle ignorare ch’io non conosceva la mia parentela coll’Aglaura quand’eravamo fuggiti da Venezia; avvisai utile il lasciarglielo ignorare anch’io, per non inviluppare più che mai i mille particolari di quella scena dolorosa e malagevole. Ella lesse due o tre di quelle lettere, le passò ad Ettore dicendo: — Leggete anche voi! — e mentr’egli le scorreva in fretta dando segno di maraviglia e di dispiacere, ella andava dicendo fra i denti: — Mi hanno tradita!... È stata una congiura!... Maledetti, maledetti!... Li divorerò tutti!...