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capitolo decimosesto. 245

Io la guardai esterrefatto, giacchè quelle parole mi sapevano di pazzia; ma ella mostrava ragionare col suo miglior senno, e dovetti rispondere a tono.

— Lasciando te avrei dovuto rimanere anch’io! — soggiunsi con voce tanto commossa che stentava a tirare innanzi. — Ti giuro, Pisana, che sul primo momento che ti ravvisai, ebbi una gran voglia di ucciderti, e di morire! —

— Oh perchè non lo hai fatto? — gridò ella con tale accento, del quale mi fu forza riconoscere la sincerità e la disperazione.

— Non l’ho fatto... non l’ho fatto, perchè ti amo! — le risposi colla fronte china, come chi confessasse una propria vergogna.

Ella non fu per nulla umiliata da quel mio cipiglio; anzi levando fieramente le ciglia, come una vergine offesa:

— Ah mi ami, mi ami!? — sclamò. — Empio, traditore, spergiuro! Che il cielo ascolti le tue menzogne, e te le faccia colare in gola mutate in piombo rovente!... Tu mi hai calpestato come una schiava, mi hai ingannato come una scimunita; e al mio fianco, fra le mie braccia stesse, meditavi il tradimento che hai consumato!... Oh felice te! felice, che un uomo s’interpose fra te e me!... ch’egli tolse di mano a me la vendetta, e me ne porse un’altra che forma la mia vergogna, il mio tormento d’ogni giorno, d’ogni minuto! Altrimenti sul seno stesso della tua druda t’avrei piantato un pugnale nel cuore; e aveva tanta forza in questo mio braccio, che d’un colpo solo v’avrei annientati ambidue!... Va’, ora va’!... Godi della mia umiliazione, e del tuo trionfo!... Mi hai salvato la vita!... Il generoso sei tu!... Alla prossima decade avrai una corona civica intorno alle tempie; ma io, io sarò tanto imperterrita da rifiutare la feccia di quel calice disonorevole che mi si vuol imporre! Avrò il coraggio di sfidare