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234 le confessioni d’un ottuagenario.

pessimo segno. Il peggio poi si fu, che volendo egli, se non poteva assaltar Napoli, accostarsi almeno al confine napoletano, tolse la sua legione, e me con essa da Castel Sant’Angelo, e ci mandò a stanziare a Velletri, una cittaduzza campagnuola, quali se ne vedono tante nella campagna di Roma, pittoresca di fuori, orribile, sozza, puzzolente di dentro: piena il giorno d’aratri, di carri, e di mandre di buoi e di cavalli che vengono e vanno; la notte ricreata dal muggir delle vacche, dal canto dei galli, e dalle campanelle dei conventi; un vero sito da ficcarvisi un poveruomo, per guarirlo dalla malattia dei bei paesi e dei larghi orizzonti. Il Carafa alloggiava fuori di città in un convento saccheggiato dai repubblicani francesi, dov’egli avea mandato innanzi da Roma quanto bisognava per renderlo, se non splendido, almeno comodo ed abitabile. Poche guardie lo difendevano; e un paio di cannoncelli da campagna tirati da muli. Nelle intime stanze nessuno poteva entrare fuori del suo cameriere, che nella legione aveva voce di mago. Del resto le pastorelle che giravano pei dintorni, e quelle che recavano il latte al convento, dicevano di aver veduto alla finestra una gran bella signora: e doveva essere l’amante del signor Ettore. Gli altri soldati più antichi di me al suo servizio, che l’aveano sempre veduto continente come uno che non ha tempo di pensare a simili freddure, non credevano a tali baje; e novellavano piuttosto che quella fosse una maga, o una qualche principessa napoletana, ch’egli voleva mettere al posto della regina Carolina.

I luoghi possono molto sull’immaginazione della gente: e i dintorni di Velletri inspirerebbero ad ogni sano intelletto stregonerie e fiabe, come i pascoli e le cascine del Lodigiano inspirano gli elogi del cacio e della pannera. Io solo forse mi serbava alieno da tali gotiche credenze, sapendo benissimo che si può durare un bel pezzo nella