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16 | le confessioni d’un ottuagenario. |
a tali paure: omai persuaso di valer qualche cosa, se la Pisana lo disdegnava, egli s’arrischiava a punirla con un’ombra d’indifferenza. Poco dopo se ne pentiva, perchè la banderuola era pronta a piegare altrove; e raddoppiava allora di premura e di brio per rendersele desiderabile e gradito. E soprattutto, in mio confronto, egli s’affaccendava a primeggiare, perchè nelle maniere usate dalla Pisana verso di me aveva fiutato una vogliuzza non mai sazia, una rimembranza non ancora spenta d’amore. Io non mi rassegnava tanto facilmente a sparir dietro a lui, massime dopo le belle accoglienze ch’era usato a ricevere per tutta Venezia. E a poco a poco ne nacque un astio, una nimicizia scambievole, che scoppiò molte volte perfino dinanzi alla Pisana stessa in rimbrotti e in improperi. Giulio cominciò a tacciarmi di aristocratico e di sammarchino; io presi dal canto mio a trascendere nei sentimenti di libertà e d’uguaglianza; la Pisana in tali dispute si scaldava anch’ella, e in breve ella diventò, al pari di noi, la più sfrenata e incorreggibile libertina. Credo che simili contese, nelle quali tutti andavano d’accordo e ognuno anzi non faceva che correre innanzi al compagno nei disegni e nelle speranze, non possano rinnovarsi così di leggieri. I Francesi erano il tema prediletto de’ nostri discorsi; e senza di essi non vedevamo salute. Giulio li cantava in verso, io li invocava in prosa, la Pisana ne sognava fuori tanti paladini della libertà, colla fiamma dell’eroismo accesa sulla fronte. E sì, che giorni prima praticando nel convento di sua sorella, essa era giunta a vincer le monache nel loro odio contro di essi.
Un giorno capita la notizia dell’entrata dei Francesi in Verona, creduta fino allora la città più restia a far novità. I villici armati s’eran dispersi, le truppe raccolte per ridurre Bergamo e Brescia ritirate a Padova e a Vicenza. Fu una gran baldoria pei fautori di Francia. Alcuni giorni dopo succede lo spavento della tremenda Pasqua Veronese, con tutte le